Voci per un concerto natalizio

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– di fr. Francesco Scaramuzzi

Siamo abituati a immaginare la nascita di Gesù come un evento festoso, così come ci viene raffigurato nel presepe: pastori che cantano, zampognari che suonano ciaramelle, angeli che osannano. Vi è una misteriosa e profonda parentela tra musica, spirito e vita eterna.

Non per nulla la tradizione cristiana raffigura gli spiriti beati nell’atto di cantare in coro, rapiti ed estasiati dalla bellezza di Dio. È propria della musica la capacità di aprire le menti e i cuori alla dimensione dello spirito e condurre le persone ad alzare lo sguardo verso l’Alto, ad aprirsi al Bene e al Bello assoluti, che hanno la sorgente ultima in Dio. Scriveva Italo Calvino che “tutte le volte che la genesi del mondo è descritta, un elemento acustico è intervenuto nel momento decisivo dell’azione. Nell’istante in cui Dio manifesta la sua volontà c’è un suono”.

Possiamo dire che l’uomo non è mai stato in grado di organizzare tutti i suoni a proprio piacimento. Basti pensare che già Giulio Cesare nel 44 a.c. aveva emanato la prima ordinanza anti-rumore. Persino oggi, in cui l’uomo è in grado di registrare e di riprodurre ogni suono della natura attraverso specifiche apparecchiature, egli si trova a dover fare i conti con lo stress provocato da suoni che, di fatto, sono il frutto delle sue creazioni e delle sue conquiste evolutive. Oggi il rumore di sottofondo è presente quasi ovunque e modifica inevitabilmente la nostra esistenza. Non è un caso che dagli anni ‘90 c’è un gruppo di musicisti inglesi che imperversa sulle platee dei teatri di tutti il mondo: gli Stomp. La formula è semplice: riciclare oggetti comuni come bidoni, coperchi, scope, cerchioni di ruote, accendini, sturalavandini e quant’altro, trasformandoli, a suon di percussioni, in musica e coreografie dal ritmo travolgente. Una vera sinfonia di suoni con strofinii e battiti di ogni tipo che danno voce ai più banali e comuni oggetti della vita quotidiana. È una sfida ecologica allo spreco urbano e satira anti-inquinamento espresse in un anomalo concerto in stile rock.

La musica, anche se profondamente diversa tra un genere e un altro, come da un paese all’altro, parla senza intermediari. Lo aveva capito bene Giovanni Paolo II che dodici anni fa al Congresso Eucaristico Nazionale volle invitare, in via del tutto eccezionale, la rockstar mondiale Bob Dylan. Per la prima volta nella storia della Chiesa un Pontefice ha ritenuto opportuno accostare sacro e profano con l’intento di una evangelizzazione più incisiva del mondo giovanile. La musica è, infatti, un linguaggio universale, capace di abbattere qualunque barriera e di creare una comunicazione immediata, anche tra persone sconosciute, perché le note si scrivono e si leggono nello stesso modo in ogni parte del mondo. «Voi tutti artisti e giovani presenti – aveva detto il Papa – mediante la musica e il canto esprimete sulle cetre del nostro tempo, parole di pace, di speranza, di solidarietà. (…) Sulla strada della musica vi viene incontro Gesù. Egli resta qui con noi: è il Dio con noi. Cercatelo senza stancarvi, accoglietelo senza riserve, amatelo senza soste: oggi, domani e sempre!».

La città, il nostro lavoro, la nostra stessa esistenza più intima è piena di rumori assordanti, ripetitivi, capaci di frastornarci, di confonderci, di distrarci.

Non facciamoci però soffocare da essi, ma sappiamo trasformarli in musica, in canto, in lode per Colui che ci ha donato un’armonia di vita, fino a soffocare ogni rumore di guerra, di ingiustizia, di meschinità.

Una filastrocca per bambini recita: “Se l’allegria del Natale vuoi donare più forte devi cantare”.

Aug-Natale_2010

 

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