– di fr. Francesco Scaramuzzi –
I capolavori artistici dei maestri dell’arte sacra, sia antica che moderna, spesso sono definiti la “Bibbia del popolo”, non soltanto perché traducono in caratteri di facile lettura e con lingua universale delle verità cristiane, ma soprattutto perché di esse comunicano l’intimo senso e la commozione con una efficacia, un lirismo, un ardore, quale forse non possiede la più fervida predicazione.
Ho messo a confronto due capolavori di notevole valore pittorico: il “San Francesco in meditazione” di Carpineto, opera del grande Caravaggio, e il “Padre Pio” esposto a Pietrelcina, del maestro Ulisse Sartini.
Al linguaggio artistico non è richiesta una esplicita missione etica o religiosa, ma in quanto espressione estetica dello spirito umano deve poter elevare la mente e il cuore a nobili sentimenti. Pur non essendo un critico d’arte, vorrei proporvi una breve riflessione osservando questi due dipinti.
San Francesco e Padre Pio sono semi inginocchiati, in atteggiamento orante. La preghiera, scandendo i momenti della loro esistenza in un filiale ininterrotto colloquio con Dio, è stata garanzia e sostegno della missione a loro affidata.
Ma esaminando gli impasti cromatici delle tele, dai quali si visualizza simultaneamente la sequenza chiaroscurale tipica dell’espressione artistica dei due Maestri, possiamo notare che il rapporto tra le varie componenti di ciascuna delle singole figure sono sostanzialmente diversi se non in un unico punto di riferimento: la Croce.
Che cosa c’è di più familiare, di più scontato, per un cristiano, del simbolo della Croce? Eppure, per noi, è diventato quasi un oggetto consueto. Ci siamo assuefatti all’immagine del Crocifisso che pende sui nostri muri o che portiamo al collo come ciondolo. Se volessimo solo pensare che per i primi discepoli fu un terribile strumento di morte, riservato dal potere romano agli schiavi ribelli, ne avremmo forse un po’ più di considerazione.
Però, attenzione: la Croce, paradossalmente, non è più, per il cristiano, simbolo di sofferenza cieca, ma di donazione; non di morte subita, ma di vita donata. È il segno forte di un Amore che si è fatto carne e che vince la morte. Quello che noi adoriamo non è un oggetto di legno o un corpo morto, ma il Figlio di Dio, il Vivente, il Risorto. La Croce è il segno del Suo servizio al Padre e all’uomo.
Per questo sia San Francesco che Padre Pio trovano nel crocifisso il senso della loro vocazione al servizio della Chiesa, “Corpo di Cristo”; per questo implorano il dono di provare il dolore e l’amore di Gesù nella sua opera redentrice, e ricevono come risposta “il sigillo delle Stimmate”, cioè il segno della conformità, visibile anche nel corpo, alla passione di Gesù.
“E mentre i Giudei chiedono miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma… potenza di Dio e sapienza di Dio” (I Cor. 1,23-24).
Non per è la fiducia nei miracoli o per l’efficacia delle opere della sapienza umana che l’uomo trova la salvezza, ma per la fede in Cristo crocifisso e Risorto.
Impariamo dunque da questi “due capolavori di santi”, capaci di parlare direttamente e profeticamente al mondo contemporaneo, a vivere con fedeltà e con generoso entusiasmo il Vangelo della pace e dell’amore, nello sforzo, sempre ripreso, di dimenticare noi stessi, di rinunciare al nostro io, aprendoci a Dio e al prossimo.