– di fr. Francesco Scaramuzzi –
Fare delle scelte, prendere delle decisioni oggi, è diventato più problematico di ieri per le nuove generazioni che si trovano dinanzi a una molteplicità di opzioni e opportunità di realizzazione mai conosciute prima. Ciò vale per tutte le scelte, sia scolastiche che professionali, e ancor più per le scelte di vita, quelle più ‘tradizionali’ e comuni come il matrimonio, la vita religiosa o sacerdotale.
L’incertezza quasi endemica della società ha colpito anche quei modelli di vita che hanno costruito l’identità e la felicità di intere generazioni del passato. Essi non sono più quello che erano un tempo, sia nel loro significato che nel vissuto soggettivo delle persone. Se pensiamo al matrimonio e alla famiglia non costituiscono un modello di vita proposto ai giovani come una tappa naturale dell’esistenza che tutti attraversano. Non sono vissuti come un ‘progetto di vita ’, un ‘impegno’, ma semplicemente come una ‘relazione’ da vivere.
Ciò che ha caratterizzato, invece, la vita di Padre Pio e di tanti santi e beati della Chiesa è stata la capacità di scegliere, con coerenza e con un chiara visione di significati e valori. Il tutto responsabilmente e in piena libertà. Non c’è scelta, infatti, senza libertà e ogni essere umano è chiamato a farsi artefice della propria vita, accettandone anche i rischi e le difficoltà.
Certamente quando parliamo di vocazione, qualsiasi essa sia, sappiamo che parte da un dono di Dio e come tale va accolta. Però é un germe che ha anche bisogno di un terreno adatto per svilupparsi e crescere. In una famiglia serena dove i genitori si vogliono bene, sicuramente i figli guarderanno al matrimonio con fiducia, come a una cosa bella. E in una famiglia cristiana, dove un giovane può parlare e condividere anche le cose dello spirito sarà facilitato nello scoprire la chiamata al sacerdozio,cogliendone tutta la grandezza e la bellezza.
Non ‘siamo degli arrivati’ quando abbiamo raggiunto ‘una buona posizione’, ‘quando guadagniamo bene’, ma quando abbiamo trovato il senso per il quale spendere, sacrificare, donare la nostra vita. Fare il medico o l’insegnante con professionalità e passione é certamente molto bello. Ma il cuore ha esigenza di amare. Quando uno chiude l’ufficio o smette il turno deve sapere perché e per chi ha lavorato. Per se stesso, per i soldi o per la gioia di qualcuno che lo aspetta a casa? Se manca “l’altro” che senso ha la nostra vita e il nostro fare?
Soprattutto nell’età giovanile é fondamentale chiedersi seriamente che cosa si vuole fare della propria vita. Quale significato darle. E ancora di più sentirsi impegnati a cercare la propria vocazione. Padre Pio ha scoperto la sua vocazione giovanissimo, aveva quindici anni. D’altronde, a quei tempi, le scelte di vita si dovevano maturare presto. Non fu però una cosa facile. Ce lo descrive lui stesso: «Sentivo le due forze dentro di me, che si cozzavano tra loro. Il mondo che mi voleva per sé e Dio che mi chiamava a nuova vita… Il solo ricordo di quella lotta intestina, che allora si andava svolgendo dentro di me, mi fa agghiacciare il sangue nelle vene. Sentivo la voce del dovere d’ubbidire a te, o Dio vero e buono! Ma i nemici tuoi e miei mi tiranneggiavano, mi slogavano le ossa, mi dileggiavano e mi contorcevano le viscere!… Sapevo solo che dovevo fare qualcosa di più» (Ep.III, 1008). Quel qualcosa di più si è trasformato in molto di più. In un impegno costante, in un’apertura totale all’altro, in una fiducia incondizionata a Dio che lo ha portato a fare una scelta vocazionale coraggiosa. Il 10 agosto 1910 diviene sacerdote. Da allora ha trascorso più di «cinquant’anni di vita religiosa, cinquant’anni confitto alla croce, cinquant’anni di fuoco divoratore per il Signore e per i suoi redenti». Così scrive Padre Pio nell’immaginetta a ricordo del cinquantesimo anniversario di ordinazione presbiterale.
Niente è stato facile per lui. Ha subito vessazioni di ogni genere e ha sopportato pesi sterminati “in povera carne umana”. Si è preoccupato di portare alla fede gli increduli, di convertire i peccatori, di infervorare i tiepidi, di sospingere sempre più in alto le anime sante. E tutto ciò lo ha potuto fare perché era davvero “uno” con Gesù. È stato l’uomo, il sacerdote eucaristico. Eucaristia adorata, celebrata, vissuta. Per questo Padre Pio da Pietrelcina aggiunse in quel “ricordino” del cinquantesimo di sacerdozio: «Che altro desidera l’anima mia se non condurre tutti a te, o Signore, e pazientemente attendere che questo fuoco divoratore bruci tutte le viscere nel Cupio dissolvi?».
Gioia e dolore, sofferenza e beatitudine furono i due tratti costitutivi del volto spirituale di sacerdote.
Allora affidiamo a Padre Pio il nostro cammino di fede affinchè ci aiuti:
- a credere nella forza dello Spirito,
- ad accogliere l’azione di Dio nella nostra vita,
- a lasciare che la nostra esistenza sia plasmata dalla vocazione che abbiamo ricevuto dal Signore.