– di fr. Francesco Scaramuzzi –
Per un altro beato in cielo è festa sulla terra. La beatificazione di Giovanni Paolo II non può che renderci felici e non solo perché è il giusto riconoscimento delle virtù di un uomo che guidando la Chiesa per più di un quarto di secolo ha cambiato i destini del mondo, ma anche per il rapporto fraterno e di amicizia che lo ha legato al nostro amato Padre Pio.
Un Papa polacco e un fraticello italiano, grandi e potenti per mandato divino. Due uomini quasi contemporanei che hanno segnato pagine importanti della storia dell’umanità e che, in maniera certamente diversa, hanno calamitato il coinvolgimento di tanti devoti e miscredenti nei momenti più significativi e di particolare tensione da loro vissuti. Santi mediatici, con pagine e pagine scritte per Padre Pio su tutti i giornali dell’epoca a raccontarne le vicissitudini, i miracoli, le sofferenze; e con fiumi di carta stampata e servizi in tv per Karol Wojtyla dall’inizio del suo pontificato fino al giorno della sua morte. Un interesse crescente dei mezzi di comunicazione che non si è esaurito alla loro morte. Questo a testimonianza dell’attenzione ma anche dell’affetto che in tanti, ovunque nel mondo, hanno rivolto a due ‘giganti nella fede’, modelli luminosi di disinteresse e di generosità verso i fratelli. Due santi uomini nella totale offerta a Gesù Cristo e adesione al Vangelo.
«Ci hai fatti per te, e il nostro cuore non trova pace, finché non riposa in te…», scrive S. Agostino.
I santi non sono uomini caduti dal cielo. Sono uomini come noi, con problemi, sofferenze da affrontare e difficoltà crescenti, angosce e dispiaceri. Se guardiamo solo alla famiglia di Padre Pio, ai tanti drammi che hanno colpito il suo cuore proprio negli affetti più cari, verrebbe un senso di scoraggiamento, di tristezza, di smarrimento. Eppure Padre Pio mai ha smesso di riporre la sua fiducia in Dio, nella sua onnipotenza e misericordia, con una confidenza filiale che fa sì che l’uomo diffidi sempre delle sue sole forze e discacci vigorosamente dubbi, incertezze e timori.
Padre Pio come Giovanni Paolo II alla scuola del “dolore e del sacrificio”, prima come discepoli e poi come eccellenti maestri, ci hanno insegnato a vivere “lieti nella speranza” (Rom. 12,12), infondendoci i tratti salienti di questa principale virtù teologale, che dona fiducia e certezza, dilatando i cuori e diradando le ombre dello spirito. La speranza si presenta come una finestra sempre aperta dalla quale penetrano luce e forza, sollievo e consolazione, ottimismo e fermezza. Tanto più necessaria in quanto tutti dobbiamo percorrere il doloroso pellegrinaggio terreno sottoposti a prove di ogni genere, a conflitti, a dolori. Giovanni Paolo II urlava ai giovani: «Non abbiate paura e non stancatevi mai di ricercare le risposte vere alle domande che vi stanno di fronte… Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo… Siate missionari di speranza!».
Padre Pio scriveva ripetutamente ai suoi figli spirituali: «Non temete; voi camminate sul mare tra i venti e le onde, ma ricordatevi che siete con Gesù. Che vi è da temere? Ma se il timore vi sorprende, gridate fortemente: O Signore, salvatemi!Egli vi stenderà la mano; stringetela forte, e camminate allegramente» (Ep. III, 580).
La santità non consiste nel non aver mai sbagliato, ma nella capacità di conversione, di pentimento, di disponibilità a rinunciare, di accoglienza e compartecipazione.
La santità è contraria all’apparire, all’avere, al possedere, ed è la costante ricerca di Dio che l’uomo deve compiere per potersi realizzare pienamente, per poter godere appieno del suo essere libero, mettendosi in gioco quotidianamente, donandosi e amando. Un percorso molto spesso pieno di ostacoli che ciascuno di noi dovrebbe fare verso Dio e con Dio.
Giustamente la santità si associa ai tanti nomi che si leggono sfogliando un qualunque calendario, ma sono tante le santità che anche oggi possiamo osservare. Come non pensare a quelle famiglie in difficoltà economica, nelle quali i genitori compiono enormi sacrifici e rinunce affinché i propri figli possano crescere nel modo più sereno possibile, o a quelle persone che dedicano il loro tempo e le loro energie per curare e assistere con amore un ammalato, o ancora a coloro che lasciano tutto e partono verso quei paesi lasciati in balia di carestie e guerre.
È la santità di uomini e donne che non hanno un volto, né un nome, ma che nel silenzio, lontano dai riflettori, amano e si affidano a Dio, donando se stessi completamente.
Ecco perché dire “santo”, in fondo, non deve essere poi molto diverso dal dire “appassionatamente, profondamente, intimamente innamorato di Dio”.