di Mons. Antonio Santucci Vescovo emerito di Trivento
ANNO DELLA FEDE
Nella puntata precedente, Padre Pio ci ha ricordato che noi abbiamo una duplice vita, una naturale, l’altra soprannaturale.
Unito a Cristo nel Battesimo il cristiano partecipa già alla sua vita celeste, viene elevato ad una vita soprannaturale ed acquista la bella speranza di sedere glorioso sopra il trono celeste. Quale dignità! Padre Pio si fonda su San Paolo: “anche tutti noi, come loro, un tempo siamo vissuti nelle nostre passioni carnali seguendo le voglie della carne e dei pensieri cattivi: eravamo per natura meritevoli d’ira come gli altri. Ma Dio ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete stati salvati. Con Lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù” (Ef 2. 3-7).
Da queste certezze di fede Padre Pio afferma che la vocazione del cristiano richiede di aspirare di continuo alla patria dei beati, come san Paolo: “Non ho certo raggiunto la meta, non sono arrivato alla perfezione, ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3.12-14).
La vocazione del cristiano esige di considerarsi qual pellegrino in terra d’esilio; non apporre il cuore alle cose di questo basso mondo. “Non abbiamo qui una città stabile, ma andiamo in cerca di quella futura” (Eb 13,14).
È l’invito che ci rivolge San Paolo (1Cor 7.29-31) alla indifferenza verso le realtà terrestri, che sono anch’esse dono di Dio, ma evitando che il nostro cuore si attacchi ad esse in modo assoluto, dimenticando che le cose di questo mondo sono relative e che debbono essere vissute in vista della vita eterna: “La nostra cittadinanza, infatti è nei cieli e di là aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil 3.20-21).
Tutta la cura, tutto lo studio del buon cristiano, che vive secondo la sua vocazione, è rivolto nel procacciarsi i beni eterni: “Non sapete che nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo. Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che marcisce, noi invece una che dura per sempre. Io tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato” (1Cor 9.24-27).
Il cristiano deve formarsi tale giudizio delle cose di quaggiù, stimare e apprezzare solo quelle che lo aiutano al conseguimento degli eterni beni ed avere a vile tutte quelle che a tal fine non lo aiutino.
Dovremmo chiederci continuamente: “Cosa giova questo per la vita eterna?”.
L’insegnamento di Padre Pio è in perfetta linea con quanto afferma il Vaticano II: “compiere fedelmente i propri doveri facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che, sapendo che qui non abbiamo una città stabile, ma cerchiamo quella futura pensano per questo di trascurare i propri doveri terreni e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli secondo la vocazione di ciascuno. Al contrario però non sono meno in errore coloro che pensano di potersi immergere talmente negli affari della terra, come se questi fossero estranei del tutto alla vita religiosa, la quale consisterebbe secondo loro esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri morali. Il distacco che si costata in molti tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo. Contro questo scandalo già nell’Antico Testamento elevano con veemenza i loro rimproveri i Profeti e ancora di più Cristo stesso nel Nuovo Testamento minacciava gravi pene. Non si venga ad opporre, perciò, così per niente, le attività professionali e sociali da una parte, e la vita religiosa dall’altra. Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna. Siano contenti piuttosto i cristiani seguendo l’esempio di Cristo che fu un artigiano, di poter esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio” (Gaudium et Spes, n.43)
(VIIII parte – Continua)